21/02/2024 I religiosi ci parlano di un futuro in cui si può vivere per gli altri

di Andrea Riccardi

Fonte: Famiglia Cristiana

Giornata per le vocazioni del 21 aprile: preoccupa il calo di consacrati, ma la Chiesa va oltre i numeri. L’editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana

La Chiesa cattolica celebra, da più di sessant’anni, la Giornata mondiale per le vocazioni. Il mondo manca di speranza, tema su cui ha insistito papa Francesco, anzi domina il pessimismo, non fosse che per le guerre. Ci si ripiega su di sé. Il problema sembra quello di preservarsi dal futuro, più che andare incontro a esso. Grandi ideali per cui spendersi (pace, solidarietà, democrazia, servizio…) illuminano poco e non chiamano al futuro. 

La situazione della Chiesa è problematica, specie dopo la pandemia, per il clima di concentrazione sull’io, eredità del periodo. Di fronte alla vocazione al futuro, le donne e gli uomini di oggi sono misurati. Il nostro, per vari aspetti, è un cristianesimo che non entusiasma e che non è entusiasta. 

Qui si colloca il calo delle vocazioni sacerdotali, che dura dal 2012 nel mondo, dal 2008 in Europa. I seminaristi maggiori sono scesi dell’1,3% rispetto al 2021 (i sacerdoti sono calati in Europa e Oceania, stazionari in America, in crescita in Africa e Asia). 

È crisi europea o globale? Certo i tempi e le culture sono differenti nelle diverse regioni del mondo. Non interpreterei però le difficoltà come fatto solo europeo. Il mondo globale è alle fine uniformante.

Dal mondo africano arrivano segnali significativi, come l’allontanamento di gruppi di giovani in taluni Paesi o l’avanzata delle comunità neo-protestanti. Certo l’Africa su 108.481 seminaristi del mondo, ne conta più di un terzo, 34.541; pure l’Asia, nonostante il ridotto numero di cattolici, ha 31.767 seminaristi. 

Qualcuno ipotizza un futuro africano ma non credo che ci siano terre promesse per il cristianesimo (anche se conosco il valore di tante comunità africane e asiatiche). Ricordo quando, mezzo secolo fa, si parlava della Polonia come futuro del cristianesimo. 

La Chiesa non è fatta solo di numeri, ma anche della storia di fede e di crescita spirituale e umana delle sue comunità. Il ministero sacerdotale resta un riferimento decisivo per i fedeli. Non vedo nel futuro una Chiesa cattolica senza preti. È un tempo difficile per essere sacerdoti, ma non vuol dire che la Chiesa non ne abbia bisogno. Anzi, ne ha ancora più necessità. Forse si dovranno ripensare le stagioni della vita in cui reclutarli. 

Significativo è l’aumento dei diaconi, oltre i 50.000, anche se in Africa, Asia e Oceania si tratta di un ministero poco praticato. Ma c’è di più: tutta la comunità ecclesiale, giovani e meno giovani, va coinvolta in un soffio di speranza. Non basta un’onesta gestione del declino della Chiesa, come spesso avviene in Europa o un governo della Chiesa senza troppo interrogarsi. 

La grande questione è il cristianesimo in un mondo unificato dalla globalizzazione, ma frammentato, conflittuale. Il problema sono l’uomo e la donna, le nazioni e le religioni nella globalizzazione. 

La Chiesa cattolica, in modo originale, è una realtà globale di unità e di pace: i suoi fedeli ne sono espressione preziosa e, talvolta, in controtendenza. Sacerdoti, religiose, religiosi, in un mondo ricco di opportunità, ma tanto sofferente, ci parlano di un futuro non guidato dall’interesse, dall’io, dalle ragioni economiche, ma da una vocazione a non vivere per sé stessi: «Siamo pellegrini di speranza – dice Francesco perché tendiamo verso un futuro migliore e ci impegniamo a costruirlo lungo il cammino».

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