di Andrea Riccardi
Fonte:
Corriere della Sera - Sette
Se non si guarda questa realtà con grande attenzione e la giusta apertura, non se ne coglie la carica umana e religiosa
C’è un mondo religioso, verso cui le autorità confessionali e i “cristiani maturi” hanno guardato talvolta con superiorità: la pietà popolare. È apparso un mondo emotivo, poco interiore, miracolistico, quasi idolatrico nella venerazione per statue e simboli. Tuttavia, se non si guarda questa realtà con attenzione e apertura, non se ne coglie la carica umana e religiosa. Per compiere tale operazione, non è necessario condividere personalmente questa religiosità o praticarla, ma avere uno sguardo libero da pregiudizi “teologici” o ideologici. Non parlo ora della religiosità popolare in Italia, su cui pure ci sarebbe molto da riflettere. Penso a imponenti manifestazioni di pietà nel mondo, come quelle che avvengono nelle Filippine, proprio nel mese di gennaio. Ogni anno, si tiene a Manila una grande festa attorno alla statua del “Nazareno Nero”: quest’anno – si calcola – circa dodici milioni di persone hanno aspettato ore per baciare la statua o sfiorarla con un fazzoletto. La processione porta la statua del “Nazareno Nero” dalla basilica nel quartiere di Quiapo nel parco di Luneta. Dura un giorno e percorre vari chilometri, seguita da un milione e mezzo di fedeli, spesso scalzi.
Perché vengono? È la domanda posta dall’arcivescovo di Manila Tagle, un cardinale considerato aperto e progressista, che nota il sacrificio fisico dei fedeli per partecipare all’evento. Non è vero – a suo avviso – che i “devoti si stanno solo esibendo”, come dicono i critici. Ha proposto una lettura spirituale di tanta partecipazione: «Hai mai provato quando non hai nulla cui aggrapparti nella vita? Quando senti che tu sei da solo e non hai nessuno cui aggrapparti, abbi fede! Appoggiati a Gesù. È Gesù a portarti».
L’immagine del Cristo nero, infatti, porta la croce. È tipicamente spagnola, ma realizzata in Messico nel 1600 e trasportata qui. Non si sa se il colore nero provenga dal tipo di legno o da vari incendi che la statua ha subito oppure dal fumo di candele per secoli. È un oggetto tipico della religiosità spagnola, passata attraverso il Messico, e innestatasi nella cultura popolare filippina. Questa è una sintesi originale tra le radici autoctone, l`evangelizzazione europea, l`influenza americana e il carattere asiatico e moderno. Un altro simbolo religioso è la statua del “Santo Niño” di Cebu (un’isola di qualche milione di abitanti), donata da Magellano alla locale regina nel 1521, poi dispersa nelle convulsioni politiche e ritrovata quarant’anni dopo. La festa è anch’essa nel mese di gennaio. Quest’anno le autorità religiose sono rimaste sorprese della grande partecipazione di fedeli (tre milioni che spesso portano statuette del Niño) alla processione e alla festa, attribuendola anche alla gratitudine per essersi ripresi dal terremoto e dal tifone Haiyan.
Il tema della festa è stato la sofferenza dei bambini: «Molti nostri bambini – ha detto il vescovo locale, José Palma – forse non ricevono da noi l’amore e la compassione a cui hanno diritto. Amiamoli e prendiamoci cura di loro e portiamoli così come amiamo, adoriamo, portiamo e veneriamo il Santo Niño».
La partecipazione di massa non toglie il carattere d’intensità personale, anzi l’inquadra in un clima di emozione generale, che appare talvolta inspiegabile a chi la guarda dall’esterno o la vede attraverso griglie teologiche. La religiosità popolare connette il senso di Dio con le realtà, i problemi e i drammi della vita quotidiana della gente. Molti hanno scritto sul nostro tempo come “età della secolarizzazione”. Manifestazioni come queste non sono fatti residuali, ma esprimono il vissuto di milioni di persone. Non è necessario condividere questa religiosità o praticarla personalmente, ma avere uno sguardo libero da pregiudizi “teologici” o ideologici.