09/02/2020 Un impegno di “buone volontà” per la rinascita di Roma

di Andrea Riccardi

Fonte: Corriere della Sera

Roma capitale sta per compiere 150 anni. Con legge del 3 febbraio 1871, il Regno spostò la capitale a Roma, tolta dagli italiani il 20 settembre 1870 al millenario dominio dei Papi. La sindaca Raggi ha iniziato a celebrare l’anniversario l’altro ieri all’Opera. Ricordare il 1871 spinge a interrogarsi sulle visioni del futuro. Queste mancano da molto a Roma. Se la politica capitolina ha avuto la sua parte nella crisi, c’è da dire che la società romana ha smesso di lavorare a un destino comune. Le reti che, nel Novecento, legavano la Roma periferica alla politica e alla cultura si sono dissolte.

La città vive tra vuoti, deserti di solitudini e abbandono nelle periferie. Ne è prova il reticolo mafioso insinuatosi nella vita sociale. La crisi di Roma è pagata anche dall’Italia. Resta valida la lezione di Mario Cancogni su L’Espresso del 1955: «capitale corrotta, nazione infetta».

 

Una rinascita non verrà dalla politica dopo la crisi del Pd e di 5Stelle, anche se per la destra le elezioni comunali del 2021 sono un’opportunità.

Ma il futuro è ipotecato dalla mancanza di pensiero sulla città e dalla scomposizione del tessuto sociale che ha portato quasi a una mutazione antropologica dei romani. La crisi è seria, ma se ne parla poco, anche se i romani se la sentono addosso. Nella celebrazione all’Opera è brillata l’assenza di contenuti. In questo quadro, è risaltato il messaggio di papa Francesco. L’ha notato Paolo Mieli, intervenuto nella manifestazione.

Innanzi tutto, Francesco ha risolto, in modo montiniano ma senza esitazioni, il contenzioso storico sulle due Roma, papale e italiana, definendo Roma capitale «un evento provvidenziale». Si ricordi che, nel 1930, per non irritare il Vaticano, il fascismo abolì la festa della liberazione di Roma, celebrata il 20 settembre, anniversario di Porta Pia. Il papa ha anche ricordato il 16 ottobre 1943, inizio della caccia all’ebreo a Roma da parte dei nazifascisti, superando le polemiche sui «silenzi» di Pio XII e insistendo su una Chiesa solidale con l’ebraismo allora e soprattutto ora.

Francesco ha parlato come «vescovo di tutti»: ha fatto sua tutta la «storia comune» della città, non chiuso nel segmento cattolico o solo attento al futuro «ecclesiastico» o diocesano. Ha fortemente preso le distanze da un modo di guardare all’Urbe, «pessimista, come se fosse destinata alla decadenza»: «No, Roma è una grande risorsa dell’umanità!» –ha affermato con speranza.

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